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The Pauline Year and the Practice of Indulgences
— Mar. 7, 20097 mars 2009
Editor’s note: Normally we don’t post material on our site that is not in English or French. However, this talk given by Cardinal Walter Kasper was published today in L’Osservatore Romano, and is not yet available in a language other than Italian. A very rough translation can be produced using Google’s translation tool.
L’Anno paolino e la realtà dell’indulgenza
Un aiuto all’unità dei cristiani
di Walter Kasper
Cardinale presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani
L’anno paolino ci ricorda il centrale messaggio salvifico dell’apostolo Paolo, che riceviamo da Gesù Cristo senza averne alcun merito. Si tratta dunque di una consapevolezza comune che unisce i cristiani cattolici ed evangelici. Tuttavia pare che gli anni giubilari e le circostanze che li accompagnano suscitino regolarmente malintesi. Già nel 1751, Gregorius Rothfischer, benedettino austriaco che si fece protestante, nel suo scritto polemico su Ablass und Jubeljahr affermava: “L’indizione frequente dell’anno giubilare romano non è altro che un pomo della discordia per le religioni in lotta fra loro (…). In queste occasioni riemerge l’antico ciarpame e si fanno allo sfinimento i soliti discorsi, pur senza una conoscenza effettiva e sufficiente di ciò su cui ci si accalora.”
Sembra quasi un’anticipazione delle reazioni suscitate dall’annuncio dell’indulgenza in occasione dell’Anno paolino. La gioia di molti cristiani per l’unità ecumenica si è affievolita a causa del Decreto della Penitenzieria Apostolica per la quaresima del 2008, che afferma che a tutti i fedeli che “piamente visiteranno in forma di pellegrinaggio la Basilica papale di San Paolo sulla via Ostiense e pregheranno secondo le intenzioni del Sommo Pontefice, è concessa e impartita l’Indulgenza plenaria della pena temporale per i loro peccati, una volta ottenuta da essi la remissione sacramentale e il perdono delle loro mancanze.” Proprio nel corso del grande giubileo dell’anno 2000, durante il servizio liturgico ecumenico per l’apertura della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, il 18 gennaio, presso la basilica di San Paolo fuori le Mura, gli interlocutori ecumenici hanno sollevato obiezioni. Alcuni rappresentanti del protestantesimo hanno messo in guardia dal pericolo di cadere in un “caso sull’indulgenza,” perché poco prima la Penitenzieria Apostolica, con le migliori intenzioni pastorali ed ecumeniche per l’anno santo, aveva offerto la possibilità di ottenere l’indulgenza anche durante i servizi liturgici ecumenici.
Indulgenza ed ecumenismo, ancora oggi a molti sembra che non possano andare d’accordo.
Infatti la controversia sulle indulgenze, insieme alla pubblicazione delle tesi di Lutero a Wittenberg nella festa di Ognissanti del 1517, diede avvio alla Riforma. Le controversie di allora, che portarono alla scomunica di Lutero, divennero un trauma originario che ha effetti ancora oggi. L’irritazione evangelica per la persistente pratica cattolica delle indulgenze è anche comprensibile. Oggi nemmeno gli storici cattolici discutono più sul fatto che nel medioevo si creavano inconvenienti gravi che erano causa di controversie sulla pratica delle indulgenze.
Incontestabile che le indulgenze di oggi, almeno nella pratica, non sono più quelle del XVI secolo. Il fatto che l’indulgenza, correttamente intesa e praticata, sia attuale ancora oggi lo ha dimostrato il fatto che, durante l’anno santo del 2000, innumerevoli persone, fra le quali molti giovani, con grande partecipazione interiore, hanno varcato la soglia della Porta Santa per entrare nel nuovo secolo da cristiani consapevoli.
Le critiche e le obiezioni continue dei protestanti su quanto le indulgenze siano antiquate e superate hanno spinto Il Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani nel febbraio 2001, subito dopo la chiusura dell’anno santo, a invitare luterani e riformati a un simposio sul tema delle indulgenze, nel quale sono state fornite informazioni oggettive su queste ultime e sulla loro interpretazione attuale. In quell’occasione si è voluto soprattutto eliminare l’obiezione e il sospetto secondo i quali la prassi delle indulgenze farebbe perdere credibilità alla Chiesa cattolica. Infatti con le indulgenze quest’ultima contraddirebbe la “dichiarazione congiunta” con i luterani, da essa stessa emessa, che nel 1999 ad Augusta portò a un accordo sulla questione fondamentale della dottrina della giustificazione.
La pratica delle indulgenze diviene veramente comprensibile soltanto se la si lega sacramento della penitenza. Di fatto l’indulgenza presuppone il pentimento personale e la ricezione dei sacramenti della penitenza e dell’eucaristia. Implica quindi il perdono dei peccati. In realtà non si tratta proprio del perdono dei peccati, ma dell’affievolirsi della pena temporale dei peccati. Quest’ultima non è affatto una punizione inflitta dall’esterno, ma consiste nelle conseguenze e negli effetti immanenti dei peccati. La persona giustificata vive ancora in “questo” mondo, segnato dalle conseguenze e dalle strutture dei peccati, che ognuno prova sul proprio corpo e nella propria vita. Si possono risanare soltanto con un doloroso processo di costante pentimento e superare per mezzo di lotta spirituale permanente. Nessun altro ha descritto tanto efficacemente questa lotta constante come Paolo stesso. Gli atti di penitenza che si compiono nell’indulgenza come strumento di lotta spirituale sono i tre classici elementi biblici: elemosina, digiuno e preghiera. Tuttavia non è così che otteniamo il perdono dei peccati. Questo infatti contrasterebbe essenzialmente con il messaggio paolino della giustificazione tramite la grazia. Si tratta più che altro di forme di penitenza e di lotta spirituale che fanno parte della vita di ogni cristiano. Martin Lutero stesso ha scritto nella sua prima tesi: “Gesù volle che tutta la vita dei fedeli fosse una penitenza.” Anche il concilio di Trento ha insegnato che: “Tutta la vita cristiana è un processo permanente di penitenza.”
Nella penitenza quotidiana nessuno è solo. Al singolo cristiano giungono in aiuto Gesù Cristo stesso e la communio sanctorum. La Chiesa è il corpo di Cristo. “Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme” (1 Corinzi, 12, 26). Quando si parla di tesoro della grazia della Chiesa, non si intende alcuna realtà materiale e nemmeno una specie di deposito, al quale la Chiesa può sempre attingere in caso di bisogno. Il tesoro della grazia è in definitiva Gesù Cristo stesso, la sua incommensurabile misericordia e l’infinita soddisfazione, alla quale possiamo partecipare nella Chiesa come suo corpo.
In generale, la pratica dell’indulgenza è sempre esistita nella Chiesa fin dall’inizio. La storia della Chiesa mostra che soprattutto l’intercessione dei martiri, che avevano sofferto atrocemente nelle persecuzioni, aveva un ruolo molto importante nel sacramento della penitenza. Nella Chiesa primitiva le pene temporali per i peccati si “espiavano” attraverso punizioni ecclesiali limitate nel tempo. Grazie all’intercessione dei martiri poteva essere concessa un’indulgenza di 100 o 500 giorni di penitenza. Nel secolo xi, dopo la fine dell’istituto della penitenza della Chiesa primitiva, l’indulgenza assunse la forma attuale. Soprattutto nel tardo medioevo veniva spesso legata a offerte economiche destinate alla Chiesa per i suoi obiettivi. Questo portò a gravi fraintendimenti, che divennero uno dei motivi più importanti della Riforma.
Di conseguenza il concilio di Trento (1545-1563) riformò in modo radicale la prassi delle indulgenze, eliminò i fraintendimenti e raccomandò nella concessione delle indulgenze di attenersi all’uso antico e provato della Chiesa, che già il concilio Lateranense iv (1215) aveva espresso, soprattutto per escludere qualsiasi lucro. Detto questo il Concilio stabilì che l’indulgenza per il popolo cristiano è utile e benefica. Con ciò l’indulgenza fu dichiarata utile, ma non vincolante. Si tratta di un’offerta pastorale della Chiesa di cui ognuno è libero di avvalersi o meno. Attraverso un’elaborazione teologica sistematica e storica la dottrina dell’indulgenza fu approfondita e rinnovata concretamente a opera, fra gli altri, di Bernhard Poschmann e di Karl Rahner. Nel 1967 Paolo VI pubblicò la costituzione apostolica Indulgentiarum doctrina. Purtroppo, questa importante costituzione, poco considerata già al tempo della sua pubblicazione, è ancora oggi quasi sconosciuta. Se la si conoscesse, il dialogo ecumenico sull’indulgenza si porrebbe su una nuova base.
Di particolare interesse è ciò che vi è scritto sul tesoro della grazia: “Non lo si deve considerare come la somma dei beni materiali, accumulati nel corso dei secoli, ma come l’infinito e inesauribile valore che le espiazioni e i meriti di Cristo hanno presso il Padre, lo stesso Cristo redentore, in cui sono e vivono le soddisfazioni e i meriti della sua redenzione. Appartiene inoltre a questo tesoro il valore veramente immenso, incommensurabile e sempre nuovo che presso Dio hanno le preghiere e le buone opere della beata vergine Maria e di tutti i santi, i quali, seguendo le orme di Cristo signore per grazia sua, hanno santificato la loro vita e condotto a compimento la missione affidata loro dal Padre; in tal modo, realizzando la loro salvezza, hanno anche cooperato alla salvezza dei propri fratelli nell’unità del Corpo mistico” (n. 5).
Su questa base, durante il simposio sopra ricordato, si è potuto chiarire che le vecchie polemiche sugli antichi abusi non hanno più motivo d’essere e che gli stereotipi aggiornati non corrispondono più alla realtà di oggi. L’interpretazione attuale dell’indulgenza non corrisponde a quella della giustificazione. Si tratta di un’offerta d’aiuto pastorale e misericordiosa della Chiesa per la penitenza di ogni cristiano.
Tuttavia, il fatto che sorgano sempre malintesi e polemiche è dovuto allo stretto legame fra teologia della penitenza e dell’indulgenza e questioni ecclesiologiche, nelle quali persistono fra le varie confessioni differenze non ancora superate. Ci si chiede sempre se e fino a che punto l’autorità della Chiesa possa concedere indulgenze per decreto e stabilirne le condizioni. Il Papa (e a volte un vescovo) può dunque disporre liberamente dell’aiuto di Gesù Cristo e della communio sanctorum?
Quest’obiezione è rivolta non solo all’indulgenza, ma anche alla interpretazione cattolica del ministero in generale. Si tratta di un problema ecclesiologico di base che riguarda il rapporto fra la Chiesa cattolica e le comunioni ecclesiali riformate. Secondo l’interpretazione cattolica il ministero della Chiesa ha il mandato di agire in persona Christi e di parlare e operare a nome della Chiesa. Per quanto riguarda l’indulgenza non si tratta di un problema speciale e isolato, ma di un problema della Chiesa e del suo ufficio, che anche dopo l’accordo sulla dottrina della giustificazione, esiste ancora fra le Chiese. Una sfida a un ulteriore dialogo.
Quella dell’indulgenza non è una questione marginale della fede e dell’ecumenismo. Ci pone davanti all’espiazione dell’esistenza cristiana, ossia al fatto che la vita è pentimento costante, penitenza e lotta spirituale permanenti. Una vita del genere è possibile soltanto grazie alla forza della grazia inesauribile di Gesù Cristo e al sostegno dell’intera comunità ecclesiale.
Questa idea riesce difficile anche a molti cristiani cattolici. Contrasta con l’imborghesimento dell’essere cristiani, con una vita cristiana soft, che non prende sul serio la realtà dei peccati e delle loro conseguenze e per la quale la salvezza personale non è più un problema. Una difficoltà scaturisce dall’equivoco diffuso e individualistico per cui i cristiani possono vedersela da soli con Dio. Il pentimento e la penitenza sono dunque atti personali, nei quali nessuno può farsi rappresentare. Tuttavia, un cristiano non vive mai da solo, cristiano con altri e per altri. Cristo è uomo nella Chiesa e con la Chiesa per gli altri. Il cristiano vive nella comunità dei santi e per essa con Gesù Cristo.
Quindi l’anno paolino, che incrocia all’inizio il decennio di preparazione alla ricorrenza giubilare di Lutero del 2017, è stata un’occasione per chiarire che la pratica dell’indulgenza, il cui abuso e fraintendimento hanno originato la divisione della Chiesa occidentale, nonostante le persistenti differenze ecclesiologiche, ha di fatto molti più elementi comuni di quanto non sembri. L’indulgenza ricorda la necessità di salvezza e che quest’ultima può realizzarsi solo attraverso Gesù Cristo. Ricorda il carattere di penitenza e di lotta spirituale della vita cristiana. Non vuole essere vincolante, ma un’offerta pastorale utile e benefica per affrontare, con la grazia di Dio e l’aiuto dell’intercessione di tutta la comunione dei santi, la lotta contro il potere e la violenza del male. Perciò non la si dovrebbe banalizzare facendo eccessive concessioni ad argomentazioni che hanno poco a che fare con l’istanza dell’indulgenza stessa.